lunedì 19 febbraio 2007

Il partito democratico e il ceto medio "riflessivo"


Se c' è una città potenzialmente adatta ad accogliere il progetto del partito democratico, quella è Firenze. Fondo questa mia convinzione su ragioni di carattere storico, politico, sociale e culturale. Di recente, commemorando Mario Fabiani, il sindaco comunista della ricostruzione, ho sostenuto che considerare Firenze una città «rossa» è decisamente semplicistico. Naturalmente, è vero che la forza politica ed elettorale della sinistra è sempre stata considerevole, tuttavia non ci siamo mai trovati in presenza di una vera e propria egemonia come in altre città toscane o emiliane e per molti anni i rapporti politici sono stati caratterizzati da una sorta di equilibrio instabile e precario (di cui la città ha risentito negativamente e non poco). Dopo la mancata rielezione a sindaco di Fabiani nel 1951, bisogna aspettare il 1975 per ritrovare il Pci (Partito comunista italiano) al governo della città e anche da questa data fino alla costituzione del Pds (Partito democratico della sinistra), non c' è continuità nella partecipazione all' amministrazione cittadina da parte del maggior partito della sinistra. Le ragioni di tutto questo sono varie. In passato, ha di sicuro inciso la presenza di gruppi di interesse e di pressione in qualche modo ricollegabili alla tradizione politica del moderatismo e delle forze conservatrici fiorentine, ma questa spiegazione non basta. Almeno fino agli anni Novanta hanno pesato molto le divisioni ideologico- politiche e il retaggio della «guerra fredda», in una situazione che vedeva comunque non poche occasioni e punti di contatto fra partiti e associazioni che affondavano le loro radici nel pensiero sociale democratico, sia laico che cattolico (un esempio, anche se forse un po' mitizzato, è quello delle parrocchie e delle case del popolo che lavorano insieme dopo l' alluvione del 1966). In fin dei conti, non è un caso che Firenze sia stata la città di Giorgio La Pira. E anche di Piero Calamandrei, Tristano Codignola, Paolo Barile, tanto per fare soltanto alcuni nomi sul versante laico. Il problema è che questo filone riformista e democratico, nella storia politica della città del secondo dopoguerra, si è spezzettato dentro (o fuori) i diversi partiti ed è stato ostacolato dai recinti ideologici e dagli apparati, nonostante il suo enorme potenziale. Al tempo stesso, non è riuscito a dispiegarsi pienamente neppure a sinistra e soprattutto nel Pci, in cui rimaneva significativa la presenza di una componente più tradizionalista (in parte poi saldatasi con posizioni radicali e movimentiste) e pesava, nella formazione dei gruppi dirigenti, l' assenza di una continuativa esperienza politica di governo nella città capoluogo. Le cose cambiano, nella prima metà degli anni Novanta, con la crisi del vecchio «sistema dei partiti» e con l' elezione diretta del sindaco. L' affermazione di Mario Primicerio nel 1995 è un momento di svolta di grande importanza, non solo per il valore della persona, ma anche perché egli riassume in se stesso un simbolico punto d' incontro: un intellettuale laico, collocato a sinistra, «allievo» di La Pira. Sul terreno delle forze politiche, il processo è più travagliato, contraddittorio e caratterizzato da una certa frammentazione, ma anche qui ci sono passaggi importanti: alle elezioni europee del 2004 e alle regionali del 2005 «Uniti nell' Ulivo» (Ds, Margherita e Sdi) prende rispettivamente il 42,2 e il 46,4 per cento dei voti in città, mentre alla Camera nel 2006 (senza Sdi) «l' Ulivo» raccoglie il 43,3. Sul piano elettorale, è questo il potenziale termine di riferimento, niente affatto male, del partito democratico a Firenze. Ma il discorso non può ridursi ad un semplice calcolo di voti. Ciò che conta è il valore e il respiro del progetto politico. Il partito democratico a Firenze deve diventare luogo di ricomposizione culturale e politica della forte tradizione riformista presente in questa città, che ha radici nell' esperienza laico-democratica, socialista, comunista, cattolico-popolare. Una «casa» aperta e pluralista dove si incrociano percorsi storici di diversa provenienza, capace di restituire forza e dignità alla politica e di parlare anche a chi oggi ne è estraneo, in particolare nel mondo giovanile. Un soggetto che, in una città civile e partecipativa, colta e popolare quale è Firenze, sappia proporre una alleanza sociale di cambiamento fra ceti diversi, nel vivo del processo di trasformazione che la città sta portando avanti. E che possa diventare punto di riferimento per quel ceto medio «riflessivo» e delle professioni, quella intellettualità diffusa (a Firenze più presente che altrove), che può entrare in rapporto ancor più intenso con la tradizione popolare della città. Una forza, infine, che sappia dare stabilità e continuità politica, nel quadro di una alleanza di centrosinistra più ampia ed estesa possibile. Non so se Piero Fassino ha pensato a tutto questo, quando ha raccolto la disponibilità di Firenze ad ospitare il congresso che aprirà anche per i Ds la fase costituente verso il Partito democratico. Anche se non lo ha fatto, ha comunque un valore e un significato simbolico che questo appuntamento si svolga qui da noi.
LEONARDO DOMENICI

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